I giovani al tempo della pandemia

I giovani al tempo della pandemia. Intervista a Sergio Teglia, psicologo e psicoterapeuta.

In questa intervista, purtroppo, parleremo con il nostro ospite di turno di attualità. E, come forse avrete intuito da quel “purtroppo” che ho utilizzato, questa attualità non può essere che la pandemia che sta sconvolgendo il mondo che eravamo abituati a conoscere e a considerare quasi immutabile nei suoi riti e nelle sue consuetudini. È persino banale ripeterlo, ma a causa del virus e dei suoi devastanti effetti, non esiste campo della nostra vita sociale o lavorativa che, ormai da un anno esatto, non abbia subito pesanti conseguenze. Tutti siamo colpiti e, senza voler dimenticare le numerosissime vittime causate dal contagio, coloro che sembrano subire in misura maggiore gli effetti del cd distanziamento sociale sono in maniera particolare i nostri ragazzi, per i quali socialità, scuola e contatti tra coetanei sono alla base della crescita collettiva ma soprattutto individuale.

Ed è proprio di pandemia da coronavirus, dei giovani, del loro modo di vivere – attualmente in massima parte stravolto – e delle conseguenze che su di loro sta avendo il forzato isolamento, che ne parleremo con uno specialista conosciuto e apprezzato qual è il dottor Sergio Teglia, psicologo, psicoterapeuta, responsabile del “Progetto Genitori” Asl Toscana Centro dal 2001, responsabile “Scuola per Genitori” Asl Toscana Centro dal 2009, docente Università del tempo libero dal 1997, docente Università Popolare dal 2020, collaboratore della rivista “Società e comunicazione”.

E alla fine scopriremo che quello che avremo letto, più che una normale intervista fatta a un esperto del settore, risulterà essere invece un insieme di consigli, certezze, saggezza ed esperienza professionale, da recepire quale preziosissimo aiuto per proseguire in quello che immaginiamo sarà un cammino ancora lungo.

Dottor Teglia, come sono mutati a causa della pandemia i legami sociali nella popolazione e in particolare per il mondo degli adolescenti?

Credo che in scenari così complicati e così tanto cambiati, dobbiamo tutti impegnarci a vedere quel poco di “mezzo pieno” che comunque c’è ancora. Al proposito voglio ricordare ciò che ci ha lasciato detto una grande persona, una donna piuttosto rara, Rita Levi Montalcini (Premio Nobel per la medicina nel 1986). Ella afferma: “…Non temete i momenti difficili, il meglio viene da lì…”. Parlando poi delle conseguenze di questa pandemia, come la distanza sociale e l’allontanamento, necessari per la nostra salute e quella degli altri, queste sono misure di cui non possiamo purtroppo fare a meno, anzi sono indispensabili e imprescindibili. Per gli adolescenti è certamente un bel banco di prova, in un momento della vita in cui il gruppo e la socializzazione con i coetanei interessa molto. Fondamentale sarà supportarli, dai genitori sino anche agli insegnanti, perfino dallo Stato, senza dimenticare che prendere coscienza del male, della morte, può valorizzare molto la vita, il piacere di viverla, il piacere delle piccole cose.

I giovani al tempo del Covid: perché sembra che non ne abbiano paura?

Questa seconda pesante ondata della pandemia con il conseguenziale lockdown, le chiusure, con la didattica a distanza, ancora una volta ha determinato una nuova e inquietante presa di coscienza: quando finirà? E finirà davvero, oppure…? Per molte persone, compresi gli adolescenti, ha iniziato a farsi strada non tanto la paura, come giustamente afferma il Professor Galimberti, ma piuttosto l’angoscia: quando c’è un pericolo ben definito noi attiviamo la paura, per difenderci e sopravvivere, tipo la paura ad attraversare la strada, la paura di chi ci minaccia, mentre l’angoscia si scatena quando il pericolo è sconosciuto, non sappiamo dove è, è invisibile. Credo che per gli adolescenti stia scattando l’angoscia, brutta compagnia nel cammino della vita.

Nell’attuale situazione, possiamo parlare per le fasce giovanili di veri e propri traumi da isolamento?

Personalmente andrei cauto col termine trauma e ancora più con isolamento. Già lo conoscevamo l’isolamento, con la sindrome di Hikikomori, intesa come ritiro sociale, autoesclusione dal mondo esterno, rifiuto di qualsiasi relazione all’infuori di quella virtuale. Tornando al possibile isolamento da coronavirus, debbo sottolineare come laddove ci sia stata una buona semina, laddove i genitori siano stati presenti nella vita dei figli, pronti ad accompagnarli di fronte alle criticità tipiche dell’età evolutiva, il giovane di oggi, l’adolescente, mai si sentirà isolato quanto distante, sì dagli amici, ma sicuro della presenza, pur sullo sfondo, dei o del genitore. Credo, anzi, che il distanziamento, quasi da chiamare “distanza virale”, possa aver fatto riapprezzare il contatto fisico, il guardarsi nel volto, i profumi, la vicinanza, spesso messi un po’ in secondo piano dai social. Questa antica e vitale esperienza del mondo dei corpi, con la loro efficacia visiva, tattile, auditiva e olfattiva, sicuramente è stata ed è riscoperta, quindi non parlerei, per il momento, di trauma quanto di difficoltà e sicuramente di disorientamento.

I nostri ragazzi in questa situazione sono supportati positivamente dai social o questo rapporto esclusivamente virtuale aumenta le loro insicurezze?  

Credo che i social siano stati utili per mantenere i contatti, per comunicare, per evitare di sentirsi completamente da soli. Non assegnerei ai social, tra l’altro termine inesatto poiché social senza corpi non è social, la funzione di supportare. Supportare sta al genitore, alla scuola, talvolta al professionista dell’aiuto, tutte figure in grado di avere a cuore chi sta male, chi è in difficoltà.

Esiste veramente un problema di aumentati casi di depressione causati dall’insicurezza dovuta alla rarefazione dei rapporti sociali?

Purtroppo la pandemia ha provocato effetti piuttosto negativi sulla nostra socialità, sull’economia di tutto il mondo, e anche sulla nostra salute mentale oltreché ovviamente fisica. Possiamo trovare testimonianze di ciò anche nel passato, citando, ad esempio, quanto afferma Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi” a proposito della peste a Milano del 1630: “…Ma la peste non fu solo un male di per sé, non seminò solo sofferenza e morte, scompigliò la vita mentale della gente…”. Di recente nel Congresso Nazionale della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia si è parlato dell’aumento, consistente, di casi di depressione, sia per i contagiati che per i familiari, con previsioni future alquanto negative. Credo che oltre all’incondizionato ringraziamento ed elogio a tutto il personale sanitario e parasanitario coinvolto nella cura e nel sostegno a chi si è ammalato o è dovuto stare in quarantena, dobbiamo sperare che i vaccini migliorino la situazione, pur ricordando che poco o niente tornerà come prima e l’attenzione ai contatti, il distanziamento e la sanificazione saranno nostri compagni di viaggio per parecchio tempo.

Giovani e scuola. Da vituperato luogo a unico punto dove sembra possibile riallacciare rapporti diretti. La DAD aumenta le problematiche legate allo studio?

E’ vero, spesso per apprezzare ciò che si ha, dobbiamo perderlo: la scuola in presenza è diventato un desiderio agognato, un bisogno in costante crescita. J. Bowlby, famoso psicologo americano a cui dobbiamo la “Teoria dell’Attaccamento”, sostiene che la ricerca della vicinanza e del contatto con un altro essere della propria specie è una predisposizione innata dell’uomo. Con la didattica a distanza, che ci ha trovati tutti molto impreparati, il toccarsi, lo stare vicini, la classe, tutto è venuto meno. Credo che così, come ripeto, abbiamo avuto l’occasione per apprezzare e rivalutare ciò che avevamo, ricordando che la DAD è tuttavia necessaria per salvaguardare la salute di tutti.

Dottore, si potrà un giorno parlare di una “generazione Covid”?

Spero di no, spero si possa parlare di una generazione resiliente, cresciuta, grazie al dolore, più forte dentro. Poi debbo anche ricordare che continuano a esserci e purtroppo a morire persone affette da altre gravi patologie, come i tumori: non dimentichiamo questi altri drammi, non tutto è Covid.

E’ appurato che le convivenze forzate producono spesso un aumento dell’aggressività. Questo riguarda anche gli adolescenti?

Personalmente ritengo che a essere molto aggressivo sia soprattutto questo virus, piuttosto che gli adolescenti. E’ chiaro come la perdita dei contatti, della routine, della pizza tutti assieme, a favore dello stare reclusi in casa e a contatto quotidiano con i genitori abbia aumentato il malessere, l’ansia, il disorientamento. E’ bene, tuttavia, che tutti, soprattutto i nostri simili, sappiano del grave pericolo Covid, della necessità di stare cauti e in casa, di stare alle regole, comprendendo così che non siamo onnipotenti, ma che esiste la fine, la morte, per cui le precauzioni sono la nostra unica arma.

Sappiamo benissimo che è impossibile trovare rimedi miracolosi, ma quali consigli possiamo dare ai genitori, vittime anch’essi di questo forzato blocco sociale?

Uno dei compiti dei genitori, credo il più importante, è quello di supportare, di essere punto di riferimento, di esserci soprattutto nelle criticità per i figli. E’ bene anche ricordare come il mestiere di genitore sia un mix di fatica e felicità e in questo strano, allarmante, e angoscioso periodo siamo nella fase della fatica, e che fatica! A mio avviso occorre che, in qualche modo, in questo momento di pandemia, il genitore sia comunque propositivo, con i figli di tutte le età. Che sappia guardare e ancor meglio progettare un futuro, un domani. In primis direi che è importante parlare del problema, del Covid, precisando come tutti si debba rinunciare a qualcosa, tutti dobbiamo fare dei sacrifici. I nostri figli, necessariamente attenti a tutte le precauzioni in atto, come il distanziamento, debbono poi essere valorizzati: con i loro sacrifici contribuiscono alla lotta contro il nemico invisibile, il Covid. Proporrei poi di lavorare sulla autostima dei figli, creando occasioni e attività utili a ciò: nuove ritualità, ricordando che il rito dà sicurezza, fare assieme, dal movimento in casa, alla tenuta del giardino (quando lo abbiamo), dalla semina anche in vasi, al rimettere la casa, il tutto chiedendo, esigendo il loro aiuto, meglio se poi valorizzato in qualche modo (ultimo da scegliere la ricompensa economica). Direi anche di mantenere, infine, un orario ben definito di sveglia e di sonno, per il pranzo e la cena, e un momento anch’esso stabilito per i compiti. Ricordando poi che la noia, soprattutto in adolescenza, non è una malattia o qualcosa che uccide, anzi, spesso fa crescere, può stimolare a fare.

Ho letto che questa pandemia è considerata da qualcuno “il più grande esperimento psicologico della storia”. Se questo è vero, lo sarà ancor più dei grandi sconvolgimenti morali e sociali che la storia, anche recente, ci ha mostrato?

In effetti la pandemia riguarda tutti, se pensiamo che risultano essere 171 gli stati coinvolti, cioè il 90% di tutto il mondo. Certamente, le conseguenze, primariamente in termini di vita, secondariamente in termini di disturbi psichici e psicologici ci saranno. Personalmente mi auguro che tutti, ma proprio tutti, si faccia “gruppo”, rispettando le regole alla lettera e ricordando che l’emergenza sanitaria è il problema principale. Parallelamente spero che ci sia, facendo gruppo, condividendo, un recupero di quei valori morali e di quelle necessarie eticità che spesso sono andate perse. Credo si debba molto più rispettare la natura che ci circonda e ci dà la vita, credo che lo stare in casa possa permettere un recupero del dialogo interiore; diversamente l’esperimento credo possa non finire e penso ci siano in arrivo altre esperienze negative.

Sarebbero ancora moltissime le domande che vorremmo porre al nostro gentile ospite, ma ovviamente questo non è possibile. Però, già da quanto ci ha detto, appare evidente come il rapportarsi con un esperto sia fondamentale per trovare le risposte alle domande che ci poniamo in questo momento nel quale siamo subissati da dubbi, insicurezze e paure.

Grazie quindi al dottor Sergio Teglia per averci aiutato in un momento di così grande difficoltà.

E grazie ad Arteventinews.it per avermi dato la possibilità di intervistarlo.

Questo articolo è già stato pubblicato sulla rivista online Arteventinews e lo trovate a questo indirizzo: https://arteventinews.it/

 

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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