La forma della musica. Ne parliamo con Pietro Gargini. Liutaio

Yehudi Menuhin, che è stato un grandissimo violinista, una volta ha detto: «Un liutaio, fabbricando un violino, permette la nascita dei più bei suoni di miele e d’oro che l’orecchio umano possa intendere». Sono queste sue parole un omaggio non soltanto allo strumento che adorava suonare, ma soprattutto a coloro che riescono a creare degli oggetti (i violini appunto) dai quali si riesce a far uscire dei suoni che qualcuno – forse a ragione? – ha paragonato alla voce degli angeli. Ed è proprio per parlare di violini che ho cercato Pietro Gargini, giovane ma ormai affermatissimo liutaio pistoiese.

Nella sua bottega, dove ci siamo incontrati, quasi inconsciamente si entra in punta di piedi; in silenzio; come se ci si trovasse in un museo, tanto il luogo è bello e affascinante. Due ampie e luminose stanze in pieno centro storico di Pistoia, che fungono da sala esposizione, accoglienza degli ospiti e laboratorio. In entrambe, immediatamente, si percepisce il senso della bellezza. Ma questa “sindrome da museo” sparisce immediatamente grazie alla simpatia e alla cortesia di Pietro, che di colpo diventa guida, cicerone, bravissimo affabulatore ed espertissimo artigiano. Il tutto senza enfasi od ostentazione del suo sapere, ma esposto in maniera “leggera”, sorridente e chiara quasi fosse un racconto. Mi viene da pensare che ascoltandolo parlare si ha la netta sensazione che è questo che potrebbe fare un maestro di scuola elementare che parla ai sui ragazzi di musica e di violini.

Poi, finite le presentazioni e la rapida visita ai due locali e a ciò che contengono, inizia il “mio lavoro”.

«Pietro, parlami un poco di te»

«Sono nato a Pistoia e, salvo alcune parentesi in cui sono stato “a giro per il mondo”, dovute queste quasi esclusivamente alla necessità che avevo di approfondire le tecniche del mio lavoro, ho sempre vissuto qua. Sono laureato in architettura e, anche se non ho mai esercitato, ho utilizzato il tempo necessario per laurearmi ad approfondire lo studio delle basi di quella che è adesso la mia attività che svolgo in maniera professionale dal 2008. Un lavoro però che è anche, ma forse è più giusto dire soprattutto, il risultato di una grandissima passione che ho sin dall’età di dodici anni quando cioè ho scoperto il mondo della liuteria e la bellezza di questi strumenti. Successivamente verso i diciassette anni ho iniziato il mio percorso formativo, e ora eccomi qua nella mia bottega a svolgere questa stupenda professione».

«Professione che consiste in?»

«Sono un liutaio» mi risponde con estrema naturalezza, quasi stesse parlando di un qualcosa di talmente comune da non meritare più parole di quelle che ha utilizzato.«E nel mio laboratorio fabbrico e restauro violini, viole e violoncelli. Questo, detto in parole estremamente povere. Se vuoi che ti dica di più, posso aggiungere che il mestiere di liutaio consiste nel trasformare la materia prima, che è ovviamente il legno, in qualcosa di finalizzato a produrre musica.» E questo per lui sarebbe veramente tutto, se l’espressione che evidentemente era apparsa sul mio viso non lo avesse convinto a rendere ancora più chiaro quel suo concetto: «O meglio» ha quindi continuato: «il mio lavoro è finalizzato a creare un oggetto che, se messo nelle mani di chi ha il talento per suonarlo, è in grado di produrre dei suoni capaci di darci delle fantastiche emozioni».

«Tu la fai facile, ma stando qua dentro, a guardare quello che ci circonda, e ad ascoltare le tue parole, non ti nascondo che mi sento proiettato in un mondo ormai scomparso. Qui mi sembra di essere in una delle botteghe degli artigiani rinascimentali, che sappiamo benissimo essere stati principalmente dei veri e propri artisti, in grado di produrre delle opere uniche e fantastiche. È questo il senso del tuo mestiere? Creare cioè un qualcosa di bello, funzionale ma soprattutto unico?»

«Assolutamente sì, perché per quanto la mano di chi realizza un oggetto, come nel mio caso può essere un violino, possa essere sempre la stessa, mai riuscirà a produrre due strumenti uguali nel suono. Sono troppe le variabili in gioco in questo mestiere. Te ne dico due come esempio: il legno utilizzato e la sua lavorazione.  Quest’ultimo, anche se preso dallo stesso ciocco e lavorato nella stessa maniera, non darà mai due pezzi assolutamente uguali tra loro. Però, prioritariamente, il vero motivo per il quale due strumenti non saranno mai identici è che il loro processo di fabbricazione è posto al confine tra tecnica e sensibilità dell’artigiano. Per essere ancora più precisi, il confine vero è tra razionalità ed emotività».

 «Violini, viole e violoncelli sono gli strumenti di cui ti occupi. Questi, almeno a me, sembrano essere gli stessi da secoli. Oggetti splendidi e dalla forma immutabile. E la domanda che ti faccio è questa: tu mi hai appena detto di essere anche un architetto. Questo tuo essere fondamentalmente un tecnico, quindi teoricamente portato all’innovazione, come si fonde con la sapienza artigiana necessaria per realizzare un oggetto apparentemente immodificabile come un violino. Fantasia, tecnica e classicità di forme possono avere un punto di contatto?»

«Possono averlo nella misura in cui si prende la distanza da quello che è il mondo della liuteria classica e se ne trasportano su un qualcosa di diverso i principi fondamentali. Devo però essere più preciso, perché questa è una domanda che necessita di una risposta articolata. Lo strumento ad arco, nel giro di pochissimo tempo da quando è nato, è riuscito a unire bellezza e funzionalità in maniera esemplare. E qui si torna a quelli che erano i dettami del Rinascimento, e cioè la ricerca del bello attraverso l’armonia delle proporzioni. Restando al tema nostro, questa ricerca delle proporzioni ha avuto come effetto la possibilità di ottenere da quella forma il miglior suono possibile. Ne deriva che la liuteria classica difficilmente è modificabile nei suoi principi base. Allo stesso tempo però non può essere considerata alla stregua di un circuito chiuso, ma le sue regole possono teoricamente essere traslate in altri ambiti per cercare di dar vita a qualcosa di nuovo. In liuteria non ci sono misure fisse, si parla di rapporti e di circa cinquecento anni di tradizione, durante i quali, almeno per i primi duecento, si è avuto modo di sperimentare quanto poter “giocare” con quei rapporti di cui ti dicevo poco fa. Questo però non esclude affatto la possibilità di percorrere la strada della ricerca anche in questo settore, magari ipotizzando che so, un numero diverso di corde o di forme. Aggiungo che l’unica modifica sostanziale che lo strumento ha avuto da quando è nato a oggi è avvenuta nel corso dell’800 quando sono state apportate significative modifiche, sia nella lunghezza che nell’inclinazione del manico, e questo perché grazie all’avanzata della tecnologia, erano riusciti a produrre un tipo di corde metalliche che avevano una proiezione sonora maggiore di quelle già in uso»

«Vale a dire?» lo interrompo curioso. Sentirlo parlare è affascinante, e in questa sua dottissima spiegazione ogni dettaglio del discorso ha dei risvolti interessantissimi.

«Le corde fino a quel momento venivano realizzate utilizzando il budello vaccino e quindi il suono che ne usciva faceva più o meno: “muuuuuu”»(e qui Pietro vedendomi perplesso scoppia nuovamente a ridere divertito), «scusa ma non ho resistito» riprende poi tornato serio.«Il suono di quelle corde dicevo era più morbido e molto meno potente di quelle in metallo, che però necessitavano di una tensione maggiore.  È per questo motivo che si è allungato il manico, mantenendo però invariato il sistema delle proporzioni riguardante il resto dello strumento, di cui ti ho già parlato. Tralascio inoltre per brevità del discorso, il legame strettissimo che esiste da sempre tra la matematica, la musica e l’architettura.»

 «Il violino è da sempre considerato lo strumento principe di un’orchestra. Perché?»

«Questa è una bella domanda, e non ho una risposta certa» risponde. «Indubbiamente lo è per il fascino della sua voce e di quello che con il suo suono riesce a toccare all’interno dell’animo umano»

 «Lasciamo perdere per un attimo il tuo mestiere e parliamo invece del tuo sito web. Contiene molte splendide citazioni, una delle quali è di Albert Einstein: “Un tavolo, una sedia, un cesto di frutta e un violino; di cos’altro necessita un uomo per essere felice?”. Veramente questo può essere tutto?»

«Indubbiamente no, ovviamente ci può essere ben altro. Einstein era un appassionato violinista e lui stesso ha ammesso di non essere mai riuscito a afferrare quello che è il vero mistero di quello strumento. Poi, rispetto alla citazione, io credo che il suo significato si debba leggere in questo modo: quando possiedi quelle cose di cui senti il bisogno, puoi benissimo pensare di poter essere felice»

«Tu hai vissuto e lavorato a New York. Oggi sei qui, a Pistoia. Due mondi apparentemente lontanissimi, eppure, almeno per ciò che ti riguarda, uniti da uno strumento musicale. A parte la evidente diversità dei luoghi, cos’è che ha in più questa nostra piccola città rispetto a quello che è considerato il centro del mondo?»

«Il fatto di sentirmi io legato a questi luoghi quasi come una pianta di edera al suo sostegno. E poi la mia storia personale e le relative vicende hanno fatto sì che io scegliessi di fermarmi qua, a Pistoia».

«Pietro, prima di venire a intervistarti, ho dato un’occhiata al tuo profilo facebook. Tutto lì parla di musica. Ma tu, oltre a vivere immerso in questo mondo, quali altri interessi hai?»

«Amo moltissimo la natura. Adoro stare all’aperto e camminare, Mi piace il teatro, il buon cibo, la buona compagnia e ovviamente la famiglia. Sono una persona semplice, che però odia annoiarsi»

«Sempre curiosando su facebook, ho trovato che tu il 9 gennaio 2017 hai scritto: In questa fredda notte d’inverno, meglio essere Liutaio, che uomo moderno! Puoi chiarirmi questo concetto?»

Alla mia domanda ride di gusto, felice come un ragazzino beccato a combinare qualche malestro.«Ti confesso»risponde con un sorriso,«che utilizzando quella frase non mia, ho traslato nel mio mondo una citazione tratta dal film “Berlinguer ti voglio bene”, un film che ha in qualche modo segnato la mia adolescenza. In ogni caso, a parte il contesto e i personaggi del film che la recitavano, la considero una bella frase»

«Musica e strumenti come il violino, sia pur volendone parlare soltanto come oggetti di lavoro, richiedono pur sempre un punto di incontro. Tu sai suonare? E serve saperlo fare in questo mestiere?»

«Io non sono un musicista, anche se ho studiato chitarra classica e successivamente violino e viola. Ma ti ripeto che suono, anche se non sono un musicista nel vero significato del termine. E aggiungo che per il mio lavoro questo non è un handicap. Saper suonare può ovviamente essere d’aiuto ma non è indispensabile. Mentre ciò che necessariamente occorre avere è una sensibilità musicale. Quello che comunemente si definisce avere “orecchio per la musica”. Quelli del liutaio e del musicista di talento sono due mondi tangenti ma che non si compenetrano. Artista e artigiano non necessariamente vedono e sentono le cose nella stessa maniera»

«Tu mi hai appena detto che ogni strumento è diverso dall’altro. E anche la loro “voce” ovviamente lo è. Come si fa a lasciarla inalterata lavorandoci sopra con un intervento di restauro?».

«La voce di uno strumento, nel nostro caso il violino, è data dal materiale, dall’essenza di legno utilizzato, dalla sua densità e dalle sue venature, e da come quel materiale è stato lavorato. Dalla bombatura e dagli spessori delle singole parti, dal volume della cassa di risonanza, dall’inclinazione del manico, dall’anima e dal ponticello e da quanto poi questo trasmette le vibrazioni, eccetera, eccetera. Ovviamente poi l’elemento determinante è come ha lavorato il liutaio che ha realizzato l’oggetto. La convergenza di tutti questi fattori crea un tipo di suono unico, che è poi quello che tu hai definito la voce di uno strumento. Tutto questo discorso, per risponderti semplicemente che, dato che uno strumento musicale a corde non è mai un prodotto che si può considerare “finito”, nel momento in cui su questo si va a intervenire con un restauro, quello che sarà il risultato finale sarà uno strumento inevitabilmente diverso, perché il lavoro del restauratore andrà a sovrapporsi e a connettersi con quella che è stata l’opera originaria del liutaio che l’ha costruito. Ovviamente si deve anche considerare quanto sarà “invasivo” l’intervento di restauro. Naturalmente c’è una notevole differenza tra rincollare o verniciare una piccola parte, e ricostruirne completamente una. Quello che è certo è che tra un intervento di restauro e la creazione ex novo di uno strumento ci sono delle differenze abissali, dato che nel primo caso dovranno essere poste in essere delle attenzioni particolari rispetto alle scelte che poi si andranno a fare. Cosa diversa è il secondo caso dove il liutaio potrà seguire, oltre alle tecniche di base, anche quelle che sono le sue particolari sensibilità costruttive»

 «In chiusura, toglimi una curiosità: qual era il tuo sogno di bambino? E oggi che ancora giovanissimo sei un affermato liutaio, ti senti di averlo in qualche modo già realizzato quel sogno?»

La sua risposta è netta, decisa e in qualche modo inaspettata: «Il mio sogno di bambino, nato nel momento in cui ho scoperto questo mondo, era quello di fare il liutaio. Dato però che i sogni di bimbo prevedono sempre una situazione di arrivo, adesso che sono “grande” e come vedi sono un liutaio, preferisco pensare di non essere ancora arrivato alla fine del mio sogno»

Questa intervista è già stata  pubblicata sulla rivista online http://arteventinews.it

 

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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