La stella della sera. Il secondo racconto che vi propongo.

La stella della sera è il titolo del racconto che forma la seconda parte della Storia che da giorni vi sto raccontando. Se vi ricordate, in uno dei precedenti capitoli del “Il Sogno”, la protagonista, davanti al sole che tramontava ha parlato di una stella. Ecco, quella stella è ciò che collega i due racconti che altrimenti possono sembrare del tutto slegati. Stavolta il racconto è breve e quindi lo propongo per intero.

Una Storia

Parte Seconda: La stella della sera

Se guardi il cielo e fissi una stella, se senti dei brividi sotto la pelle, non coprirti, non cercare calore, non è freddo ma è solo amore. Khalil Gibran

La stella della sera

Guardare le stelle in una notte d’estate. Cosa c’è di più bello? Ed è quasi sempre inevitabile che questo “guardare” ci induca a ricordare e a sognare. Ed è assolutamente legato alla nostra umana natura il desiderare che quei sogni non siano soltanto tali o comunque destinati a rimanere ciò che in realtà sono. Ma è ovviamente altrettanto scontato affermare che, per quanto essi siano irrealizzabili, tutti noi amiamo i sogni. Sogni e fantasia. Un binomio che da solo, a volte, anche se non è mai sufficiente, aiuta a riempire spazi di noi talmente vuoti che niente potrebbe mai colmarli. E lo facciamo, forse perché in qualche modo i sogni ci danno la forza e la voglia di continuare nella nostra ricerca. Ricerca che, collegando questo racconto al precedente “Il Sogno”, diventa per il suo protagonista l’unico motivo della sua ultima parte di vita, che lui trascorre immerso in quel “tempo sospeso” che intercorre tra la scomparsa di una parte di noi e un viaggio destinato a farci raggiungere chi, da qualche parte, sicuramente ci sta aspettando. E.M.

Fra molti ma molti anni. In una casa di riposo per anziani.

Un leggerissimo, discreto suono di nocche, battute su una porta chiusa.

«Avanti».

«Mi scusi signor Direttore, è arrivata la nuova assistente».

«Benissimo Caterina, la faccia entrare e per favore resti qua anche lei».

«Buongiorno signor Direttore» disse con aria impacciata una giovanissima ragazza, entrando nel grande studio.

«Venga, venga avanti signorina. La prego si accomodi. È un vero piacere averla con noi; mi hanno parlato tanto bene di lei» rispose l’uomo sfoderando un sorriso cordiale, alzandosi, e andandole incontro porgendo la mano. «Lei è la benvenuta a Villa Giulia».

«Grazie; sa, è il mio primo vero lavoro e sono un poco emozionata».

«Niente paura; vedrà che andrà tutto bene» riprese l’uomo mentre si accomodava nuovamente al suo posto. «Dalle sue note personali risulta che lei è molto preparata e di conseguenza non avrà alcun problema; e poi l’affido a Caterina, la nostra bravissima segretaria che le spiegherà tutto; le farà vedere la struttura e le presenterà i nostri… ospiti».

Infine, alzandosi nuovamente, congedò le due donne. «Adesso dovete proprio scusarmi, ma devo terminare una relazione per la ASL. Sapete, una delle tante scartoffie che non servono a niente e che non legge mai nessuno, ma che si devono comunque fare. Ci rivedremo sicuramente prima che finisca il turno però. A più tardi».

«Caterina, le affido la nostra giovane recluta» concluse sedendosi ancora una volta dietro la scrivania ingombra di carte, ponendo così termine all’incontro.

«Vieni cara iniziamo la nostra visita» disse la donna più anziana prendendo la ragazza sotto braccio e uscendo dallo studio.

«È veramente bella questa struttura» affermò compiaciuta la ragazza dopo che assieme all’altra donna aveva compiuto un lungo giro per le sale comuni, le stanze degli ospiti, i locali medici, le cucine, e aver incontrato e salutato l’altro personale e quasi tutti gli anziani. «E’ proprio un gran bel posto per…» ma arrossì prima di terminare la frase, consapevole di aver appena detto qualcosa di sbagliato.

«Finirci i propri giorni? Forse. Se non si ha nessuno che possa prendersi cura di te, forse sì. In fondo hai ragione. Ma adesso andiamo sulla grande terrazza, vedrai com’è bella e che vista stupenda si gode da lì» risponde di rimando Caterina.

E la terrazza era in effetti veramente bella.

Era formata da un grande spazio, esterno al corpo principale dell’edificio ed era stata realizzata sul retro dell’edificio principale, all’altezza del secondo piano, proprio sopra al grande portone che dava accesso a un piccolo parco alberato curatissimo.

Sorretta da una fila di grosse colonne cilindriche, si apriva su una grande vallata degradante verso il lontano orizzonte, regalando alla vista scenari fantastici. Era libera su tre dei suoi quattro lati e aveva lungo quasi tutto il suo perimetro, addossate a una ringhiera ottocentesca in ferro battuto, una lunga serie di grossi vasi di terracotta che fornivano il terreno necessario per sopravvivere a enormi piante rampicanti che si aggrovigliavano fitte su una struttura, anch’essa metallica, che ricopriva quasi due terzi della terrazza.

Avanzando verso la parte anteriore e osservando il panorama, si notavano sui lati laterali, quelli più stretti, quasi a farle da corona, due serie di basse montagne di un piacevolissimo colore tra il celeste e un pallido nero, che degradando dolcemente, senza però incontrarsi, lasciavano alla vista la possibilità di guardare lontano, facendo intravedere proprio al centro della scena la striscia scura dove iniziava il mare.

Caterina e la nuova assistente, vi misero piede proprio nel momento in cui il sole settembrino si apprestava a terminare il suo quotidiano percorso, andando finalmente a cercare ristoro nell’immensità delle acque marine.

La giovane fu colpita dall’immagine di bellezza e serenità che le si presentava dinanzi, offerta da quella piccola porzione di bagliore che già preannuncia il tramonto, e grazie alla quale, sia pur nel chiarore della luce calante, si iniziano a intravedere le prime stelle.

La terrazza era ormai vuota perché gli anziani ospiti della struttura erano già stati accompagnati a tavola in attesa del solito rito della cena.

In un angolo però, appoggiata alla balaustra della terrazza, e resa incerta dal sole calante che colpiva gli occhi di chi guardava, si intravedeva, solitaria, una figura.

«Che splendore» esclamò ammirata la ragazza, rivolgendosi a Caterina. Poi, notando anch’essa la figura in piedi le domandò curiosa: «E quello chi è? Che ci fa quel vecchio laggiù? Caterina, perché non è ancora rientrato con gli altri?».

«Quello?» le rispose con un’alzata di spalle la collega; «quello è il nostro ospite più anziano. È qui da tanto di quel tempo che non lo ricordiamo quasi più. Vieni che te lo presento e assieme lo riportiamo dentro».

«E cosa fa lì da solo? Perché…?» insistette la ragazza lasciando trasparire nella voce una nota di biasimo per quell’apparente disservizio da parte del personale.

«Ma… niente…» rispose l’altra senza in realtà rispondere, lasciando cadere nel nulla la domanda mentre si avviava verso la figura ormai nella penombra. «Quella di voler restare per ultimo in terrazza è una sua… fissazione. Lo sai come sono questi anziani…» concluse infine abbassando la voce.

«Che vuol dire: una fissazione?».

«Ogni sera, anzi prima che sia sera, acqua, neve o vento che sia, vuole essere portato fuori, sulla terrazza e si ferma a guardare una stella».

«A guardare una stella? E perché lo fa?».

«Il perché non lo so; e la stella credo che sia Venere. O comunque se non è Venere è quella bassa e luminosa che appare sempre per prima all’orizzonte quando, proprio come ora, il sole inizia a tramontare».

«Tutti i giorni dici?».

«Sì, ogni sera. E insiste per restare solo» continua la donna muovendosi sempre lentamente in direzione del vecchio «e non è tutto. Con quella stella lui ci parla, o almeno mentre la guarda sembra che parli con qualcuno. Ti dico sembra, perché quando fa così non vuole nessuno vicino. A me è capitato di andare a riprenderlo e di sentirlo salutare una persona».

«Salutare? E chi doveva salutare se era da solo?»

«Una donna. Buonanotte Principessa, l’ho sentito mormorare; ci vediamo domani».

«Ci vediamo domani? Principessa? Vuoi dirmi che lui chiama così quella stella?».

«Non la stella. Anni fa ho chiesto spiegazioni alla figlia che viene a trovarlo e mi ha detto che da sempre salutava in quel modo la moglie».

«Salutava? Quindi è morta?».

«Sì, e da molto, molto tempo. Sempre la figlia mi ha raccontato che è successo in Grecia: un tragico incidente d’auto durante un viaggio che i suoi genitori avevano fatto assieme senza portare i figli, per non so quale loro ricorrenza».

«E vuoi dirmi che… lui…?».

«Non ha mai smesso di salutarla. E da allora ogni sera fa così. Da sempre mi disse già allora la ragazza».

«Che storia triste e allo stesso tempo meravigliosa».

Nel frattempo le due donne erano arrivate vicino al vecchio, che, intento a guardare il cielo divenuto ormai color rosso fuoco non si era accorto della loro presenza e sembrava assorto in un muto dialogo.

«Andiamo dentro ora nonno; rientriamo prima che faccia troppo freddo» gli disse con gentilezza Caterina, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla.

Il vecchio, preso alla sprovvista da quel tocco leggero, trasalì voltandosi lentamente. Poi, sorridendo alle due nuove venute si rivolse loro dicendo: «Signora Caterina arrivo subito. Mi lasci finire di salutare e sarò tutto per lei».

«Non farti notare» disse piano la più anziana alla ragazza ferma dietro di lei «ma ascolta cosa dice».

La ragazza incuriosita guardò verso il vecchio che le dava le spalle, ora poggiato con entrambe le mani al parapetto del terrazzo, e ascoltò curiosa le sue parole mormorate piano, quasi con amore, che sembravano essere veramente rivolte direttamente alla stella.

«A domani vita mia, aspettami» stava dicendo guardando quel puntino adesso luminosissimo «ormai mi sono perdonato anch’io di non averti detto tutto subito, e quindi appena posso volo da te. Adesso però lo vedi, la mia balia è già qui e quindi devo rientrare; buonanotte Principessa».

Poi, terminato quella specie di rito l’uomo si voltò rivolgendosi adesso alla ragazza che lo osservava in silenzio: «Lei è nuova di qua vero? È la prima volta che ho il piacere di vederla».

«Sì» rispose la giovane stranamente imbarazzata «inizio oggi. Mi chiamo Martina e non volevo essere indiscreta ma…».

«Martina… è un bel nome; e anche se non la conosco sento che lei mi è simpatica» le rispose lui di rimando, per poi continuare, sempre parlandole piano: «non tema Martina, sono vecchio sì, ma non sono ancora del tutto ammattito. Non parlo con le stelle se è quello che sta pensando. O almeno non con tutte. Io parlo solamente con la mia stella, che mi aspetta su quella stella» e girandosi puntò la mano tremante verso un punto lontano sospeso all’orizzonte «la vede? È quella laggiù, quella bassa e luminosa».

Infine, osservando divertito l’aria perplessa con la quale la giovane lo stava guardando proseguì: «Un giorno, se ne avremo il tempo, e sempre se lei avrà la voglia di ascoltarmi, le racconterò una breve storia; la storia di un viaggio, e vedrà che forse allora capirà di cosa le sto parlando».

«L’ascolterò con piacere» rispose la ragazza confusa ma allo stesso tempo lusingata dalle parole del vecchio.

«Benone, affare fatto. Allora adesso possiamo andare.» e felice il vecchio, dopo aver dato un’ultima occhiata al cielo stellato, prese sottobraccio le due donne, lasciandosi lentamente accompagnare all’interno della struttura.

FINE

A breve il terzo e ultimo racconto.

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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