L’aliante del Faraone

L’aliante del Faraone

Copio da Wikipedia:

OOPArt (acronimo derivato dall’inglese Out Of Place ARTifacts, «manufatti, reperti fuori posto») è un termine coniato dal naturalista e criptozoologo statunitense Ivan T. Sanderson per dare un nome a una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione storica, ossia rappresenterebbero un anacronismo. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici o paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le datazioni iniziali.

In parole povere e sintetizzando al massimo, una branca dell’archeologia – denominata “misteriosa” – classifica in questo modo oggetti o particolarità trovate su resti fossili, anche umani, che risulterebbero essere rispetto alla datazione che viene loro attribuita dei “reperti fuori posto”. Un qualcosa insomma che non dovrebbe esistere in quel determinato periodo storico perché inventato o scoperto migliaia di anni dopo.

Vero o falso che sia, comunque la si voglia pensare e come è giusto che accada, le tesi contrarie e a favore sono diverse e variamente articolate.

Senza sposarne una, in questo post oggi riporterò ciò che ho ricevuto da un amico scrittore e appassionatissimo di storia antica, in particolare del mondo Egizio. Parlo di Giovanni Affortunato Calamai e “Ganzo, anzi ganzissimo” è il suo ultimo libro su Firenze, del quale potrete leggere – ovviamente se vi va – la mia recensione sulla Rivista Arteventinew.it  https://arteventinews.it/

Naturalmente prima di pubblicare il testo ho fatto alcune verifiche e ricerche su Internet e ho potuto accertare che il “Reperto n. 33109” di cui tra poco leggerete la storia esiste veramente – e francamente, conoscendo Giovanni, non ne dubitavo affatto – al punto che approfonditi studi effettuati da esperti traggono delle conclusioni che vanno ben oltre ciò che andrete a scoprire.

Ed ecco adesso il nostro racconto su l’OOPArt 33109 del Museo del Cairo.

L’ALIANTE DEL FARAONE di Giovanni Affortunato Calamai

L’ antico reperto, contrassegnato col numero 33109 e giacente in un particolare cassetto, etichettato come “Figurine di Uccelli”, della stanza nr. 22 del Museo del Cairo, è a dir poco sorprendente e straordinario. Questo uccello realizzato con legno di sicomoro ha una lunghezza di circa 14 cm un’apertura alare di 18 cm e un peso quasi di 40 grammi. Sulla parte anteriore sono visibili gli occhi ed il becco, mentre la coda è posta stranamente in verticale.  Risalente almeno a due secoli prima di Cristo, fu scoperto nel 1891 durante gli scavi della tomba di Pa-di-Imen, nella necropoli di Sakkara. La figurina, allora classificata come una semplice rappresentazione di un uccello, fu accantonata insieme ad altre sculture simili di volatili a raccogliere la polvere e dimenticata. Oggi, appena si osserva questo oggetto più da vicino e con maggiore attenzione, senza conoscerne le origini, l’immediata sensazione è quella che essa non rappresenti un comune volatile, ma bensì il modello di un aereo o, per meglio dire, la sagoma di un aliante. Questa azzardata ipotesi, alla fine del XIX secolo non fu minimamente presa in considerazione e addirittura ritenuta folle; si era appena agli albori dell’aeronautica ed i fratelli Wright avevano incominciato da poco i loro esperimenti e si sarebbe dovuto attendere per lo meno altri quindici anni prima che fossero abbattute le barriere naturali che a quei tempi ostacolavano il volo.

Riflettendo a lungo sulle sembianze dell’oggetto, mi sento di esporre alcune considerazioni, ovviamente non escludendo ogni possibile diversa interpretazione:

  1. Un giocattolo raffigurante un uccello, come sono stati reperiti nelle tombe, a corredo e ricordo della prima giovinezza del defunto o di bambini morti prematuramente.
  2. La riproduzione di una specie di banderuola, per misurare direzione del vento, che veniva posta sull’albero centrale di grandi imbarcazioni solari a compimento e decorazione delle stesse.
  3. Un oggetto cerimoniale, essendo il falcone planante con le ali spiegate una delle personificazioni del dio Horus.
  4. Oppure unico esempio di un oggetto più evoluto, destinato alla navigazione “aerea”, magari riservato al Faraone.

Giocattoli e giochi di diversa fattura ed uso sono stati reperiti in numerose tombe data la grande passione per il gioco che aveva questo popolo. Molte riproduzioni in scala minore di giuochi e giocattoli rispetto agli originali erano messi come corredo insieme a tutte le altre suppellettili, nell’estrema dimora del defunto. Non ritengo comunque che questo “uccello” rappresenti un balocco di gioventù di Pa-di-Imen, trattandosi di un funzionario minore vissuto durante il regno di Tolomeo. Inoltre se si trattasse di un giocattolo perché possiede caratteristiche tecniche di design così sofisticato?

Diversi egittologi, escludendo assolutamente l’ipotesi di un velivolo, pensano che, data la particolare forma della coda verticale, rispetto ai comuni volatili, l’oggetto possa essere stato una banderuola per segnalare la direzione del vento, collocata in cima sugli alberi di barche importanti. La versione parrebbe confermata da alcuni rilievi del tempio di Khonsu a Karnak in cui si vedono chiaramente banderuole simili che ornano gli alberi maestri delle tre barche usate per le feste di Opet, ricorrenza annuale sacra in onore del dio Amon. Questa ipotesi parrebbe suffragata dal fatto che, in prossimità della coda del reperto si riesce a leggere, seppur scolorita dal tempo, l’iscrizione geroglifica “il dono di Amun”.

Una delle personificazioni del dio Horus, che è parte integrante della trinità egizia, era indubbiamente il falcone ad ali aperte a significare la protezione che il dio concedeva a tutti i regnanti egiziani, oltre alla più importante e più conosciuta immagine che lo ritrae con il disco del sole sulla sommità della testa. Rimanendo comunque in tema di volatili, la domanda che mi pongo è perché su questo manufatto non si rileva alcuna parvenza di penne anche stilizzate, né di zampe di cui sono dotate tutte le altre figurine di uccelli? E perché la coda è verticale e non orizzontale, a forma di ventaglio, come presentano tutti i pennuti?

L’ultima ipotesi – anche se la meno probabile, in totale mancanza di prove – è certamente la più affascinante poiché troppe sono le analogie con i moderni alianti e svariati sono i punti di vista e le valutazioni di esperti autorevoli.  Nel 1969, quasi ottanta anni dopo il rinvenimento di questo piccolo oggetto, un egittologo, il dottor Dawoud Khalil Messiha, professore di anatomia all’Università di Helwan e appassionato di aeromodellismo, nell’esaminare il cassetto con le varie figurine di uccelli si accorse che il reperto NR. 33109 possedeva caratteristiche difformi da quelle degli altri uccelli, ma tipiche di un moderno velivolo. Ai lati della coda posta in verticale, come fosse un vero timone aeronautico ipotizzò che avrebbero potute o dovute esserci delle alette stabilizzatrici orizzontali, probabilmente andate perdute. Messiha dedusse quindi che avrebbe potuto trattarsi del modellino di un monoplano in origine molto più grande e magari ancora celato dalle sabbie del deserto. Tramite il Ministero per le Antichità ottenne quindi il nulla osta per sottoporre questo strano reperto all’attenzione ed allo studio di diversi esperti di storia e di aeronautica. Molti ingegneri hanno concordemente affermato che il modello esattamente così come è raffigura un perfetto aliante e che in realtà, un modello a grandezza naturale con le stesse caratteristiche e con la possibilità di alloggiare un essere umano, avrebbe potuto volare regolarmente. Il prof. John Lienhard, esperto di ingegneria meccanica presso l’università di Houston asserisce che il modellino, se si fosse inteso riprodurre un aeroplano, presenta un’aerodinamica più che corretta e questo non può essere solo una coincidenza. Da parte degli storici si è anche sottolineato che gli antichi egizi costruivano modelli in scala di tutto quello che era loro familiare nella vita quotidiana, oggetti che poi venivano collocati nelle tombe; e perché poi n0n credere possibile che lungo le sponde del Nilo, coperti dalla sabbia per secoli vi siano ancora i resti di un aliante vero e proprio? Il modellino di Sakkara ne sarebbe una riproduzione che successivamente è stata posta in quella tomba con una iscrizione geroglifica che, tradotta, dice testualmente “Voglio volare”!

Ammesso e concesso che gli antichi egizi avessero potuto costruire un aliante vero e proprio, mi vengono spontanee alcune considerazioni di ordine pratico. Sappiamo che oggi un moderno aliante per raggiungere la velocità di rotazione, ovvero quella che gli consente di alzarsi in volo, viene trainato da un aereo e poi sganciato in quota. Anche se questa velocità di rotazione è circa la metà di quella necessaria ad un aereo dotato di motore, resta comunque piuttosto elevata. Vedo altamente improbabile che nell’antico Egitto si potesse in qualche modo raggiungere questo limite, sia da un punto di vista umano che da quello animale, come ad esempio per mezzo di un traino con molte coppie di cavalli lanciati a forte velocità. Un’altra ipotesi avrebbe potuto essere quella di un lancio effettuato da un’altura come avviene per gli attuali “parapendio”, ma alture del genere, se si esclude la Grande Piramide, nei pressi di Menfi non ve n’erano. Le uniche a 900 chilometri di distanza sono le rocce che incombono sulla Valle dei Re ma di sicuro troppo distanti. Altrimenti, ipotesi più accettabile, il lancio avrebbe potuto essere effettuato con l’ausilio di una catapulta. Considerato che l’epoca del reperto è datato fra il II e III secolo a.C. è noto che in quel periodo, definito “ellenistico”, fiorirono una moltitudine di invenzioni e di scoperte e la catapulta aveva già fatto la sua comparsa da tempo. Una volta superata questa non facile fase, piloti inesperti ma in gran parte audaci – sicuramento lo erano se avevano progettato e costruito un “aereo” – fruendo delle correnti ascensionali, avrebbero potuto veleggiare sopra il territorio egiziano. Considerato che il calore incamerato dalla sabbia e dalle rocce del deserto viene rilasciato sotto il nome di “termica”, ovvero come una colonna di aria calda che si eleva verso l’alto, inserirsi, dopo il lancio, in una di queste correnti ascensionali, avrebbe fatto salire facilmente il velivolo e grazie alla portanza gli avrebbe consentito di navigare anche per un periodo esteso.

Ciò che rende il mistero più intrigante è il fatto che a tutto oggi, nonostante l’enorme quantità di scavi e di ricerche effettuate quasi ovunque, non c’è notizia del rinvenimento di manufatti simili………siamo dunque di fronte ad un modello unico? Se si, quale potrebbe essere il motivo? E perché è stato messo proprio in quella mastaba?  Le ipotesi più suggestive si susseguono ancora oggi e molti pensano che il reperto Nr. 33109, per ora unico nel suo genere, sia la prova tangibile che gli Egizi erano in possesso di una tecnologia molto più avanzata di quella che attribuiamo loro. Tutto, grazie alla loro abilità e ai loro studi, o forse chissà, grazie al dono lasciato da una precedente civiltà molto più evoluta, o addirittura frutto di una magnanima elargizione da parte di fantomatiche divinità, venute dal cielo, da molto, ma molto lontano!

Che ne dite? Sembra impossibile accettare che sia ciò che sembra, eppure…

L’immagine inserita nell’articolo è tratta dal blog Djed Medu

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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