Storie & Sogni. Seconda parte

Seconda parte del primo racconto: Il Sogno.

30 luglio

Nonostante l’ora, l’uomo è già sveglio; come gli succede ormai da moltissimo tempo.

È sdraiato sul letto candido, con la faccia rivolta al soffitto e tiene le braccia incrociate sotto al cuscino. E come al solito, e in maniera del tutto irrazionale, solleva la testa per guardarsi la pancia, con quell’idea di addominali che ha; e ogni volta finisce con il dirsi che tutto sommato, non è per niente male.

È sveglio, e sa benissimo che è troppo presto per alzarsi, però la cosa non gli crea fastidio, anzi, per lui quello è un momento piacevole in cui può fare quello che al mattino, prima che la routine delle cose prenda il sopravvento, ama maggiormente fare.

Come posare lo sguardo sulla donna che dorme serena accanto a lui; raggomitolata nella posizione fetale che non riesce proprio ad abbandonare. E aspettare che lei si svegli, per avere il piacere di baciarla e di dirle ogni volta: «Buongiorno Principessa», esattamente come tra loro avviene ormai da “almeno un secolo”.

Anche quella volta la guarda, e in lui si rinnova, oltre al desiderio di lei, il piacere di saperla vicina.

La guarda con orgoglio, e lei, ignara di quanto le succede attorno, come è solita fare le notti d’estate, riposa vestita solo di niente.

In quei momenti ama ricordare brevissimi istanti già vissuti e ormai lontanissimi nel tempo. E una di quelle immagini, ogni volta che arriva, continua a sorprenderlo per la sua apparente insensatezza.

È un ricordo di quando era un bambino; figlio di operai, con una vita felice ma, pur non rendendosene pienamente conto, gonfia anche di privazioni. E una di queste, sicuramente la più banale tra tutte, ma agli occhi dei bambini qual è la banalità? era il non poter mangiare mai le banane, a quel tempo frutto esotico e particolarmente caro, limitandosi a doverle osservare curioso e goloso tra la frutta esposta nel negozio dell’ortolano in cui la madre faceva i suoi acquisti di ben altro genere.

Ma quello che gli piace veramente rivivere di quella sua scheggia di vita ormai trascorsa, è il riassaporare la sensazione incredibile che aveva provato quella volta che, chissà mai in quale speciale occasione, aveva finalmente assaggiato quel frutto tanto ambito. Lo aveva assaporato con passione, mangiandolo lentamente, a morsi piccolissimi per il timore di vederlo finire troppo presto, trattenendo quei piccoli pezzetti di mistero, il più a lungo possibile nel palato.

Ma oltre ai ricordi passati, e questo consapevolmente, torna a rivivere con gli occhi della mente gli ultimi avvenimenti, quasi come se dovessero ripresentarsi ancora una volta ed essere così pronto a goderne nuovamente.

E quella mattina, senza averne un reale motivo, si trova a rivedere il film dei suoi giorni appena trascorsi; giorni lunghissimi, pieni di addii, di feste con amici e colleghi di lavoro, riempiti da saluti e da pacche sulle spalle.

Sono finalmente in congedo permanente effettivo pensa mentre è sdraiato con gli occhi chiusi. E anche lui sorride divertito di quelle pompose parole che da giorni si ripete, che sono soltanto uno strampalato modo per dire in gergo militare: da oggi sono un normalissimo pensionato.

Ma in quei momenti, ciò che più ama fare è sognare.

Così, anche in quell’abbozzo di mattina la sua mente vola; senza una meta, senza una logica, senza un motivo. Vola; e basta.

Vola ai suoi sessantadue anni, e a quelli di lei, smisuratamente di meno. I suoi, a giudizio di chi lo guarda, “molto ben portati”, mentre per descrivere quelli della donna è sempre risultato sufficiente l’uso di un solo aggettivo: splendidi.

Ed è quella differenza d’età tra di loro che è racchiude il suo cruccio; una piccola spina nel fianco, che a volte, quando si sofferma crudele a pensarci, gli impedisce di essere pienamente felice come invece potrebbe, anzi dovrebbe essere.

Lei, eppure, gli ha dimostrato chiaramente che non se ne cura e sembra veramente non farci caso a quei benedetti e maledetti anni, ma lui sì. Lui odia quel numero. Quel quindici che li separa e li allontana, e il motivo del suo affannarsi è semplice: la dannata paura che ha di perderla.

Perché l’ama. E perché il tempo che li separa è tutto a vantaggio di lei. Per il presente e per il futuro.

E quel tempo che la rende ancora così bella, è adesso il suo tormento principale. Si sente vecchio per quell’amore e ha paura di quel maledetto tempo che corre così veloce.

L’ama, e l’ha sempre amata, probabilmente sin da quando si sono, di sfuggita, incontrati per la prima volta. E in questo suo dolce ricordo si insinua il rimpianto di averci messo sin troppo per riuscire a confessarglielo quel sentimento.

Un’enormità di tempo sprecato continua a dirsi; troppo, rispetto a quanto sa con certezza di averne ancora a disposizione.

Steso sul letto, ora forse sogna, e ricorda con estrema chiarezza, come se il suo “già passato” non fosse mai esistito, il momento esatto in cui la incontrò.

Successe nell’estate dell’anno 1987, in Valtellina, in occasione di uno dei purtroppo ricorrenti disastri naturali che troppo spesso accadono in Italia.

Quell’estate eccezionalmente piovosa, provocò l’esondazione del fiume Adda, oltre a una lunga serie di frane; e questi fattori uniti assieme, causarono la distruzione di due paesi e la morte di cinquantatré persone.

A quel tempo lui era un ufficiale del Genio Militare di stanza a Vercelli, e non appena scattò l’emergenza venne immediatamente inviato con il suo reggimento a prestare i primi soccorsi.

E fu lì che la vide.

Era stato assegnato a operare nel paese di San Antonio Morignone e quando la colonna dei soccorsi arrivò sul posto, lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu desolante. Macerie ovunque, distruzione, fango… morti.

Ma là, in mezzo a quella desolazione, tra i tanti volontari accorsi a portare aiuto, quasi fosse un segno di speranza per i sopravvissuti, c’era anche una giovanissima ragazza.

Ricorda che quella che vide appena mise piede a terra scendendo dalla camionetta militare, fu una scena incredibile. Da una casa semi diroccata, un gruppetto di persone si affannavano a tirar fuori di tutto: dai mobili ai detriti, nel tentativo di salvare le persone che erano rimaste coinvolte nel crollo. E tra tutti fu quella ragazza che lui notò immediatamente. Era bellissima, giovane, bionda, o almeno crede di ricordare che fosse bionda, perché seguire nel tempo il colore dei suoi capelli, mutati sapientemente a ogni stagione, è sempre stata per lui una impresa ardua.

Gli apparve splendidamente coperta di fango, mentre, assieme ad altri giovani arrivati come lei dalla Toscana, scavava disperatamente in quella casa alla ricerca dei dispersi.

Era talmente impegnata a esplorare in quell’informe ammasso di terra e acqua, e nello stesso tempo occupata a incitare i compagni, da non accorgersi di aver lasciata sbottonata la sua camicetta gialla che faceva in quel modo intravedere il seno.

E così, mentre i suoi uomini guidati dai sottufficiali iniziavano a loro volta a prestare i primi soccorsi, completamente preso da quella scena lui restò invece a guardarla per un tempo indefinito, sino a quando, accortasi del suo sguardo, la giovane non si fece scrupolo di dargli dell’idiota, gridandogli in malo modo di smettere di guardare e di darsi invece da fare come tutti gli altri.

Diventato immediatamente paonazzo per la vergogna, tra le risate dei suoi soldati, farfugliando delle scuse, ritornò alla realtà e iniziò a dare i necessari ordini.

Nonostante l’imbarazzo provato, si accorse però, non senza provarne piacere, che lo sguardo della ragazza, ora non più fiammeggiante, indugiava ancora su di lui.

Poi, presi dalla drammaticità della situazione si persero di vista. Ognuno andò per la sua strada e lui la rivide soltanto alcuni anni dopo, in maniera del tutto inaspettata durante un convegno sulla Protezione Civile organizzato dal Ministero dell’Interno. E quella ragazza, allora giovanissima, sporca e trasandata, era divenuta una donna splendida, elegante e disinvolta.

Quando la sera, durante una cena, gli organizzatori del convegno fecero le presentazioni, anche lei si ricordò di quel maturo ufficiale e del suo sguardo troppo insistente e ridendo allegramente gli disse che lo aveva perdonato subito.

Girandosi pigramente, toglie le braccia da sotto la testa, accomoda il cuscino e sempre tenendo gli occhi chiusi, continua a ricordare.

Da allora non si sono più lasciati, e, assieme ai tre figli che lei gli ha dato, è diventata la sua unica ragione di vita.

Adesso, vagando a caso tra i cassetti della memoria, rivede ancora il giorno del loro matrimonio, celebrato in una chiesetta piccolissima in aperta campagna, davanti a pochissimi invitati.

Lui era in alta uniforme, proprio come vuole la tradizione degli ufficiali di carriera, mentre lei indossava un incredibile abito rosso fuoco che la fasciava in modo a dir poco indecoroso, con sottilissime spalline e una larghissima gonna, sempre rossa, che mitigava in parte l’arditezza della parte superiore del vestito.

Poi, dopo il pranzo, la fuga su una moto di grossa cilindrata, verso un fantastico viaggio di nozze, a zonzo per mezza Europa.

Quel viaggio, per quanto lungo fu, non comprese però la Grecia, terra che, senza un motivo apparente, lui aveva sempre amato chiedendosene spesso il motivo e rispondendosi semplicemente che quando si ama qualcosa, oggetto, luogo o persona che sia, non esiste mai un perché razionale.

Una volta tornati a casa, un giorno qualsiasi, parlando di viaggi fatti o da fare, scoprirono un qualcosa in più che li univa, dato che anche lei desiderava da sempre visitarla.

«Laggiù vivono gli dei» aveva detto convinta «e io voglio andarci».

E lui le promise, anzi le garantì, che prima o poi ci sarebbero andati assieme.

segue a breve la terza parte

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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