Storie & Sogni. Ultima parte del primo racconto

Terza e ultima parte del primo racconto: Il Sogno.

30 luglio

Ma sino ad allora, l’unico nostro modo di “vedere” la Grecia era stato attraverso le lunghe storie che le inventavo nelle sere in cui ci tenevamo abbracciati nella nostra casa, divertendoci a viaggiare con la fantasia e seguendo il filo di immaginari racconti.

Ed è quindi per pagare il debito che ho con lei da moltissimo tempo che ho organizzato tutto questo. Una promessa, prima o poi, si deve pur mantenere. E devo ammettere che nonostante lei adesso sia felicissima di questa mia pazzia, non è stato semplice farmi perdonare di non averle detto niente.

Ma quello che in realtà ancora mi spaventa è il doverle rivelare la verità sul motivo reale che mi ha spinto a fare questo improvviso viaggio. E quella, è nascosta in un busta che porto con me da circa un mese e del cui contenuto non riesco mai a trovare il coraggio di parlarne.

Anche la scelta del giorno in cui partire non è stata per niente casuale.

Oggi è il mio compleanno e come accade ogni anno, il nostro accordo tacito è di festeggiarlo a modo nostro: una cena noi due da soli, una passeggiata mano nella mano e poi a casa, dove, come sempre, le chiedo di fare all’amore.

E a quella richiesta, lei non si tira mai indietro; finge di protestare, dice che è tardi, che è stanca, che è tanto che stiamo assieme, che è “vecchia, brutta e avvizzita”, che io sono ormai “anziano” per continuare a fare certe cose in maniera così insistente, che è grassa e che le è cresciuta la pancia.

Ma inizia ogni volta in quel modo, e poi finisce invariabilmente come se fosse ancora la prima volta. E la sua pancia passa sempre in secondo piano. La sua pancia: l’unico segno del tempo passato e dei figli che mi ha dato, è un leggerissimo filo di grasso attorno alla sua vita. Per lei un piccolo dramma, per me una gioia. Mi piace da morire baciarla in quel piccolo mondo morbido e, per la sua posizione “strategica”, terribilmente eccitante. E ogni volta che mi avventuro in quell’area, il viaggio che compio è quasi sempre la premessa per baci ben più appassionati.

E così, felice e angosciato, questa volta mantengo la parola e finalmente le darò la Grecia.

Ho preparato tutto, nei minimi dettagli, ormai da diversi giorni, in gran segreto, aiutato da nostra figlia maggiore che per navigare su internet e disbrigarsi su come farci le prenotazioni è imbattibile.

L’arrivo è previsto per la tarda serata all’hotel Royal Holympic, scelto in modo che la nostra camera abbia la doverosa vista sull’Acropoli. Poi, giusto il tempo di cambiarsi e sempre in taxi una corsa fino alla vicina cittadina del Pireo, con cena romantica, passeggiata sul lungomare con in sottofondo la colonna sonora dei bouzouki e la loro musica struggente.

E adesso, alle cinque del mattino sono qui, disteso sul letto e ripenso a tutto questo.

30 luglio

Di nuovo si gira, si stira, si allunga sul letto cercando di trovare una posizione che continui a mantenerlo in quel meraviglioso attimo che intercorre tra il dormire e il non essere ancora del tutto svegli.

E in quel momento sospeso, prosegue il suo vivissimo ricordo.

Ci siamo svegliati prestissimo, dato che in quella affascinante città, di cose da fare ne avevamo un’infinità. Fino a quando, con un’auto presa a noleggio, senza dirle qual era la nostra meta, mi sono diretto verso un luogo incantato: Capo Sounion.

Si raggiunge viaggiando lungo una magnifica strada litoranea dalla quale è possibile ammirare isole pittoresche, candide spiagge e bellissimi paesaggi di campagna.

Finché, eccolo che appare, il tempio di Poseidone che tanto desideravo che lei vedesse. È lì, posato come il nido di un uccello mitologico, vigile sentinella su un promontorio a picco sul quel braccio di mare assurdamente blu.

Alla sua imponente bellezza ci si deve avvicinare con meraviglia e rispetto, ammirandone silenziosamente le colonne ancora intatte e le pietre lisciate dal tempo e dagli elementi. Si dice che, ancora oggi, chi sale sul promontorio al crepuscolo per contemplare lo spettacolo del sole che tramonta, senta la voce di Ulisse portata dal vento.

E così, tra storia e leggenda, voglia d’amore e di tenerezza, rapiti da tanta bellezza siamo rimasti seduti tra le grandiose colonne del tempio per goderci abbracciati lo spettacolo del sole che s’inabissa nel mare.

«Pensa a come sarebbe bello se ci fossero con noi anche i ragazzi», mi ha detto lei.

«Oggi è meglio di no» le ho risposto, «perché questo è il nostro momento magico».

«Hai ragione» ha aggiunto sottovoce, guardandosi le caviglie e subito dopo abbracciandomi più forte. «La vedi quella stella laggiù in fondo?» ha ripreso poi alzando la testa, puntando un dito verso la linea del mare che si confondeva con quella del cielo. «Quella splendente, proprio sulla linea dell’orizzonte?».

«Sì la vedo. Credo che sia Venere, ma potrei anche sbagliarmi. È quella che chiamano “la prima stella della sera”».

«Non importa qual è il suo nome. Ma io ora so che è lassù che andremo».

«Andremo?».

«Io e te, amore mio; dopo che non saremo più qui» ha mormorato guardandomi negli occhi. «E per vederci basterà aspettare il tramonto. E sarà sufficiente osservare con attenzione, esattamente al centro di quel punto luminoso. E quel guardare, farà capire a chi ci cerca con gli occhi di chi ama, che noi due siamo proprio lì».

Non capivo allora il senso di quel discorso e perciò mi limitai a stringerla forte, quasi come se potessi far penetrare il suo corpo all’interno del mio e con quel gesto fondere le nostre essenze in un unico soggetto, eterno, invincibile, incorruttibile dal tempo. Un unico essere formato da due anime. Qualcosa che vivesse in un perenne brevissimo istante. Unito per sempre, anche oltre quello spazio terreno che ci è dato.

Volevo con tutto me stesso che quel momento magico rimanesse per sempre racchiuso in noi. Lo voleva trasformare in qualcosa di fantastico; in un incanto però simile alla realtà, anche se a una realtà irreale, come solamente i sogni più belli sanno di poterlo essere.

Sapevo che dovevo consegnarle quella maledetta busta e volevo farlo in un momento felice; durante un istante che potesse essere per noi più di un ricordo.

Per noi due, per trovare il coraggio di dirle la verità su di me, volevo una frazione di tempo simile a una favola; però una di quelle senza streghe cattive, senza orchi o burattini tristi; una favola bella, con un gran bel finale, una di quelle che vorresti non finissero mai e che non ti stanchi mai di sentirti raccontare.

Una di quelle bellissime storie che si concludono sempre in un modo dolcissimo, delicato; una di quelle in cui sul finale avrei voluto poterle dire… “…e alla fine, un giorno, assieme, mano nella mano, siamo partiti e abbiamo preso una lunga strada, diritta e piena di luce. Senza portare con noi niente, senza dire niente, senza salutare nessuno. E in quell’andare muto e felice, soltanto noi sapevamo qual era la nostra meta: quella luminosissima stella della sera, dove da sempre viviamo felici beandoci del nostro amore”.

E invece, nascosto in quella pesantissima busta, il nostro finale era già stato scritto dalla mano di un orco cattivo, che non sapeva di esserlo.

E quel finale, era scritto in modo del tutto diverso da quanto speravo avvenisse nella mia stupidissima favola.

30 luglio

Un punto luminoso colpisce gli occhi dell’uomo disteso sul letto. Indeciso sul cosa sia quello che percepisce ma non afferra completamente, non li apre, ma anzi, li tiene ancora ostinatamente serrati, deciso a capire a cosa appartenga quel riflesso.

«È la mia stella?» si chiede smarrito, ancora confuso tra il sonno e il risveglio.

La risposta non c’è.

Arrivano però, sotto forma indistinta di sensazioni, sprazzi di luce, suoni, immagini e dolore.

E arriva la luce: è il sole? È una stella? Oppure, molto più drammaticamente terrena, è soltanto una lampada accesa?

E arrivano i suoni: dolci come la risacca del mare? Oppure sono il ricordo lontano ma sempre presente degli orribili rumori di uno schianto devastante?

E arrivano le immagini: liete come dei volti di ragazzi? Oppure orribili sequenze di fiori; una lunga auto bianca e una croce?

E arriva il dolore: è il dolce, amaro ricordo di qualcosa che è stato immenso? O è soltanto la materialità di un’unica gigantesca e insopportabile angoscia?

O tutto questo invece non è altro che il ricordo di una realtà così reale che non si cancella?

Forse.

Oppure quelle che all’alba, tra il sogno e la realtà si presentano, sono molto più semplicemente soltanto le immagini distorte e irreali, create dalla fantasia, di un sogno che si è costretti a sognare?

Forse.

Ma forse è soltanto l’insieme di tutto questo; mescolato e confuso nella visione di ciò che era; è stato; ed è.

Perché a volte, specialmente al mattino presto, la vita si confonde, perde il suo senso e il suo tempo; e si diverte a creare facili inganni, trasformandosi in qualcosa di realmente diverso da quanto è invece crudelmente reale.

Ma allora, tutto ciò che in fondo abbiamo, è soltanto il risultato di un effimero impalpabile sogno?

Forse.

Perché, come ha già scritto qualcuno, “L’alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d’un residuo di sogno e d’un principio di pensiero”.

FINE

Termina qui Il Sogno, il primo dei tre racconti che letti assieme formano un’unica storia. Seguirà tra qualche giorno la prima parte del secondo racconto.

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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