Il cimitero di Sapànta

Il cimitero di Sapànta

E poi… grazie a chissà quale dio della vita si ricomincia.

Si ricomincia, nonostante che i dolori, gli affanni, le perdite di persone care si susseguano con ritmo crudele, tutto sembra ricominciare, simile a com’era prima – uguale è impossibile, e sarebbe forse inumano.

Gli stessi riti, le solite abitudini, gli affetti più cari ai quali diviene naturale stringersi in maniera diversa, più attenta, più sentita, forse più timorosa.

E di chi non c’è più restano i ricordi. Del tempo passato assieme, del bene dato e ricevuto, di ciò che è stato e… mai più sarà.

Già… i ricordi…

Per noi occidentali un modo per ricordare i nostri cari è sempre stato quelle di seppellirli nei cimiteri – oggi in verità la cosa avviene un po’ meno, in parte soppiantata dalla cremazione – che non sono però dei luoghi che frequentiamo con animo leggero. Eppure c’è chi ha trovato la maniera di renderli un pochino diversi da ciò che dalle nostre parti siamo soliti vedere.

Curiosi di capire di cosa sto parlando? Di un articolo che ho ricevuto qualche tempo fa dal nostro solito amico Giovanni Calamai e che vi riporto esattamente come lui l’ha scritto.

Leggetelo, poi andate sul web https://it.wikipedia.org/wiki/Cimitirul_Vesele guardate le immagini e scoprirete anche voi un qualcosa di veramente particolare, e soprattutto verissimo.

 IL CIMITERO ALLEGRO

(Cimitirul vesel)

A prima vista il nome sembrerebbe un controsenso, una presa in giro, ma spingendosi più a fondo nell’argomento trattasi di pura realtà. Siamo in Transilvania nel nord della Romania, al confine con l’Ucraina, distretto di Maramures, località famosa per la produzione di palinca, la grappa ottenuta dalla distillazione selezionata di prugne ed altra frutta: il paese è Sapànta. Parlare di originalità riferendosi al cimitero locale sembrerebbe restrittivo in quanto unico esempio al mondo nell’avere trasformato un luogo solitamente triste ed in alcuni casi tetro ed opprimente per il ricordo di chi vi è sepolto, in una località quasi piacevole da visitare. Tutto ha avuto inizio nel 1934 quando a Stan Joan Patras, un locale artigiano scultore del legno venne in mente di predisporre una decorazione particolare per la sua futura sepoltura. Intagliò nel legno di castagno una grande croce e successivamente per proteggerla dalle intemperie, si dedicò a decorarla con miniature di vari soggetti colorate di un blu intenso, il tipico colore di molte vecchie case della Transilvania. L’idea innovativa e senza precedenti ebbe talmente successo che a Patras vennero commissionate numerose croci per rinnovare le tombe esistenti, decorare quelle nuove e adornare quelle future. Al blu si aggiunsero altri bellissimi e vivaci colori che richiamano i dipinti tradizionali dell’arte rumena, per decorare nuovi motivi geometrici e floreali ideati dall’artista in fase di esecuzione. Al posto di consunti dagherrotipi e sfocate fotografie l’ingegnoso artista decise in seguito di disegnare i volti dei defunti, poi l’intera figura circondati da scene campestri relative al loro lavoro. Oltre alle immagini furono scritti epitaffi particolari che non solo mettevano in luce le qualità del deceduto, ma spesso anche i suoi difetti descritti appunto con spiccata ironia. Non è raro nel cimitero di Sapànta imbattersi in vere e proprie celebrazioni personali della vita del trapassato come se continuasse egli stesso a raccontarsi. Questa curiosa tradizione ha fatto sì che questo camposanto divenisse letteralmente una galleria d’arte a cielo aperto, un museo particolare che tutto l’anno attira numerosi curiosi e anomali visitatori.

Forse una piccola spiegazione la possiamo trovare nel fatto che i Daci, insieme ai Geti che popolavano l’odierna Romania provenivano dal gruppo etnico dei Traci ed erano dediti ad agricoltura, viticoltura ed allevamento del bestiame. Erano anche abili artigiani, ma come ci tramanda Erodoto erano più inclini alla guerra che alla pace, duri combattenti assai più addestrati dei Germani. La loro religiosità li portava a credere nell’immortalità dell’anima e consideravano la morte solo come un cambiamento di esistenza. Ritenevano infatti che il defunto non morisse veramente ma che con quel passaggio si ricongiungesse col dio supremo Zalmoxis, detto anche Gebeleizis, approdando in un’altra dimensione. Quindi un avvenimento da non considerare triste, ma da festeggiare degnamente perché punto di arrivo ad una qualità di vita migliore.

Ecco alcuni epitaffi singolari che meritano di essere citati:

Alla suocera

Sotto questa croce pesante giace la mia povera suocera.

Se viveva ancora tre giorni c’ero io sotto e lei leggeva.

Voi che passate di qua provate a non svegliarla,

perché se torna a casa non la smette più di brontolare.

Io farò in modo che non torni più. Resta qui mia cara suocera.

Holdis il bevitore

La grappa è un veleno puro che porta pianto e tormento.

Anche a me li ha portati e la morte mi ha messo sotto i piedi.

Coloro che amano la buona grappa come me patiranno perché io la grappa ho amato e con lei in mano sono morto.

Toader l’epicureo

Finché ero vivo molte cose mi piacevano

bere, mangiar bene e andare a donne.

Ho amato molto la vita finché potevo baciare, quando sono invecchiato tutte mi hanno lasciato.

Ho abbandonato la vita a 73 anni.

Ion il giovane

Mi chiamo Ion di Nani e pochi come me sono stati dignitosi e belli, ma io anche sfortunato perché sono morto giovane.

Ora bruttissimo, marcisco sottoterra.

 

Per informazione tutti gli epitaffi del camposanto sono raccolti nel libro “Le iscrizioni parlanti del cimitero di Sapànta” del prof. Bruno Mazzoni edizione del 1999 assai rara e molto difficile da trovare.

E poi… grazie a chissà quale dio, si ricomincia a vivere.

Dedicato a Nicola, per noi amici semplicemente… ‘i Nicche

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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