SOGNO. Parole e immagini di Dario Soldi

nib-153747_640Stamani un nuovo articolo per la categoria “Ditelo voi”. Parole e immagini che descrivono un sogno.

Ricevo e pubblico volentieri un testo scritto da Dario Soldi, il mio amico “poeta sognatore”.

E non uso a sproposito questo termine, perché quello che lui ci regala con le sue parole, è proprio la descrizione di un sogno.

Un breve testo, apparentemente caotico, privo di un qualsiasi ragionamento logico e conseguentemente difficile da razionalizzare. Eppure, proprio per tutto questo, lo definisco vero.

Chi di noi non ha mai sognato? E chi fa sogni esclusivamente “veri”? Chi è che non si abbandona volentieri a costruire nel sonno dei “castelli in aria”, o vi inserisce, quasi cosciente, una realtà, per lui reale, ma assolutamente eterea e incredibilmente assurda?

I sogni, proprio per la loro definizione sono immagini, suoni, sensazioni di un qualcosa che è dentro di noi ma non ha né forma né sostanza. Qualcosa che forse nella realtà esiste o è esistito, ma vestito in altre spoglie.

E Dario, prova a descrivere un sogno.

Buttiamo adesso da parte la psicanalisi, la possibilità di interpretare i sogni o di dare loro un significato. In questo campo esiste di tutto, e il contrario di tutto; ma a noi tutto ciò non interessa. Quello che inseguiamo è proprio il senso di un sogno, il suo saper farci volare il più lontano possibile. In un mondo irreale ma in quegli istanti vivissimo e quasi tangibile.

E se poi le parole servono soltanto a confondere la realtà che descrivono, è questo che fa bene al cuore.

Leggiamo, sogniamo e voliamo via. Anche se solamente per un istante?

Si, perché comunque ne sarà valsa la pena.

Leggete e poi valutate la realtà di questo fantasticare del mio amico “poeta sognatore”.

C’E’ UN UOMO NEL SOGNO – Dario Soldi

C’è qualcuno nel sogno. La luce opaca del lampione lì in mezzo ne illumina appena la figura, sembra un Uomo di Folon, disceso da Forte Belvedere, chissà per quale ventura a movimentare il mio sonno. Lo sfondo è un’atmosfera sospesa, ferma sul telone di un cinema all’aperto, un quadro di Hopper. Quel poco di vero che si respira ha l’odore pregnante di bagnato che sale in fumo dalla via della festa.

Di notte, una piazzetta di paese. La strada si allunga fra le bancarelle, i gazebo, ci sono le cianfrusaglie sui tappetini dei neri e la gente a crocchi che ondeggia occhieggiando qua e là. è appena smesso di piovere, le pozzanghere specchiano le luci, i neon, i colori rutilanti, si sentono le voci inseguirsi con la musica, i rumori fra gli ombrelli che si chiudono uno dopo l’altro.

E la scena si anima.

C’è il venditore di conchiglie, i bambini le accostano all’orecchio per sentire il mare; il vecchio canuto martella piccoli oggetti di rame e un banchetto stravagante fra le ciacce delle donne, dove fanno mostra di sé le borse ricamate.

L’uomo è lì, piovuto dal cielo. Ha l’aria di un estraneo, uno senza invito. Si aggira curiosando, forse stordito, non riesce a capacitarsi dove si trovi e perché, gli sguardi, i gesti, le voci, i passi della gente sembrano solo attraversarlo. Nessuno si accorge di lui. Poco più in là compare una piantina fiorita in vaso, vedo l’uomo avvicinarglisi, attratto, lei gli si rivolge, lui balbetta qualcosa, non si capisce, vorrebbero parlarsi, forse salutarsi, si conoscono oppure no, ma la voce non esce, gesticola, smania, infine spalanca le braccia al cielo. Dove resta la scia di un messaggio ancora appeso.

Io mi giro per i labirinti del sonno senza uscirne, non mi sveglio, sento le mani fredde, sudaticce, paralizzato. Ma non sono alle corde. Mi sorprendo di sentirmi investito da una corrente di emozioni, di segni nell’aria che ammiccano ad una mia scontata complicità, che l’uomo trasmette e io ricevo, inspiegabilmente. è ancora lì incapace di sottrarsi a quell’incontro. Le parole, confusamente, gli insistono addosso ronzando come api sul fiore, gli occhi a terra, i pugni stretti irrigiditi ai fianchi, niente si scioglie. Niente si spiega. E sulla strada il paese ormai chiude.

La gente torna sui suoi passi, si diradano via via le luci, lontano si intravedono brillare appena come lucciole quelle di poche case isolate nei campi sprofondati nella notte.

– Qual è il senso di tutto questo? – mi chiedo – Chi tira le fila? –

Una sola certezza è piantata lì in mezzo: qualcosa incombe.

Irrompe il fracasso di un orologio impazzito, sul mio comodino, o no, forse sulla strada, e le note di una musica dietro le quinte, sfocate in parte da strani rumori, versi di animali, uccelli…Chagall, Daly, i Floyd mi svolazzano intorno.

L’uomo prende a camminare sicuro come seguendo un tracciato della mente, o una voce, mentre la via della festa lascia l’abitato disegnando una grande curva nel buio peso della campagna. Non c’è nessuno. A parte una piccola processione di cani che trotterellano dietro a lui in composto silenzio, come una scorta. Sopra la testa la luna enorme squarcia la notte.

E’ l’ultimo atto.

Meraviglia! Non ci sono campi, no … dov’è la campagna? C’è il mare, a perdita d’occhio, i campi sono il mare! Niente acqua, non ci sono le onde, è un mare di nuvole bianche, fitte, che spingono placide all’orizzonte, quella striscia più chiara laggiù dove entra il giorno. 

L’uomo è arrivato. Si volta verso di me, lo vedo da vicino, siamo di fronte, nei suoi occhi non c”è traccia di stupore.

L’uomo sono io. Io sono lui.

Cerco di arrivare alla lampada sul comodino, prigioniero nelle lenzuola, voglio uscire, voglio la prova che io sono di qua, cerco l’interruttore, eccolo…..la luce non si accende.

Un refolo di vento……

– I went with you the way

up to here

keep me in your depht

where you gonna stay

……….

e un piccolo pontile. La barca è sospesa sula mare che sembra il cielo, un lungo remo affonda nella corrente……

E’ tutto.

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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