Storie & Sogni. Un racconto da leggere a… puntate

Tra i vari libi che ho scritto, uno – Storie & Sogni –  non l’ho mai pubblicato. O meglio, ne ho fatto stampare soltanto poche copie che ho regalato agli amici a me più vicini.

Non è un romanzo, ma una raccolta di piccole storie, fantastiche e irreali, ma per me molto vive, che rappresentano un modo forse ingenuo di raccontare la mia realtà.

E adesso, al tempo del Coronavirus, per darvi – e per darmi – il modo di passare qualche minuto di tempo senza stare affacciato alla finestra, ho deciso di pubblicarne qualcuna su questo blog.

Parto da un racconto che dura… tre racconti. Una storia irreale divisa in tre distinte parti apparentemente slegate, che narra di una vita trascorsa assieme da una coppia. La pubblicherò però un poco alla volta; un pezzetto al giorno, per far diventare questa idea una sorta di appuntamento prolungato nel tempo. E, come si fa con le medicine, a forza di poche righe alla volta, arriveremo sani e salvi al termine dei racconti e soprattutto di questo orrendo incubo che nostro malgrado stiamo vivendo. Non sarà lungo il viaggio che vi propongo, e credo neanche tanto faticoso. Magari servirà un poco di memoria per ricordarsi le… puntate precedenti.

Ogni racconto è preceduto da poche righe scritte da uno scrittore famoso, che danno l’idea di ciò che verrà poi raccontato, e da una mia riflessione su ciò che ho tratto da quelle parole. Una specie di gioco che spero troverà il vostro apprezzamento.

E quindi adesso partiamo con la prima parte del primo racconto, tratto dal volumetto: Storie & Sogni.

Una Storia

Parte Prima: Il Sogno

“A volte (…) ha l’impressione di vivere due vite nello stesso tempo. “C’è un ponte che collega quello che faccio con ciò che mi piacerebbe fare”, pensa. A poco a poco, i suoi sogni cominciano a impadronirsi della vita di tutti i giorni, finché egli avverte di essere pronto per ciò che ha sempre desiderato. Allora basta un pizzico di audacia, e le due vite si trasformano in una.” Paulo Coelho

“L’alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d’un residuo di sogno e d’un principio di pensiero” ha scritto Victor Hugo. Ed è proprio riflettendo su queste parole che è nato il racconto che vi state apprestando a leggere.

Ricordo con piacere, che da bambino mi addormentavo desiderando fortissimamente di fare sempre il solito bellissimo sogno: ero io che giocavo a fare il cavaliere solitario che combatteva contro tutto e contro tutti. E naturalmente vincevo sempre.

E quel sogno, stranamente e assurdamente, ogni volta che volevo riviverlo era lì, presente, parte delle mie fantasie di bambino e parte della allora mia inesistente realtà di adulto.

Ma ancora oggi, ormai irrimediabilmente cresciuto, continuo a credere che la differenza tra sogno e desiderio di sognare ciò che vorremmo, sia a volte veramente inesistente.

E, esattamente come ha sapientemente descritto in quelle poche righe quel grande maestro, questo avviene solitamente all’alba, quando la notte inizia a far posto alla luce, e, magicamente, il tutto assume un aspetto diverso. Enrico Miniati 

N.B. il racconto è volutamente scritto alternando la prima alla terza persona.

…………………………

30 luglio

Davanti a un vecchio casolare staziona da alcuni minuti un taxi con il motore spento.

L’autista è sceso, e osserva il panorama fumando tranquillamente una sigaretta, in attesa che il cliente gli dia disposizioni. Per lui il tempo che passa non importa; il tassametro è in funzione e ogni minuto che trascorre su quell’aia rappresenta comunque dei soldi guadagnati.

All’interno dell’edificio, un uomo e una ragazza guardano dalla grande finestra la sinuosa curva della strada che si snoda lungo la piccola valle.

Stanno chiaramente aspettando di veder sopraggiungere qualcuno; o qualcosa.

Alle loro spalle, indisturbato, disteso tranquillamente sul grande divano, un cane meticcio di taglia media e di color fulvo, fiuta l’aria e sembra aspettare anch’esso. Probabilmente sa che chi è atteso metterà fine con un grido al suo relax, scacciandolo da quella felice situazione, e quindi, sempre se i cani lo fanno, spera in cuor suo che l’attesa si prolunghi il più possibile.

«Accidenti» borbotta l’uomo visibilmente agitato, guardando all’esterno, ma rivolgendosi chiaramente alla ragazza «ma proprio oggi doveva essere in ritardo?».

«Non devi preoccuparti babbo», gli risponde lei che come l’uomo guarda fuori con il naso appiccicato al vetro «vedrai che adesso la mamma arriva, e poi hai tutto il tempo che ti serve».

«Sarà… ma questo non ci voleva; conosci tua madre e sai quanto ci vuole per farla smuovere…».

L’eco di quelle parole è ancora nell’aria, quando velocissima sopraggiunge una piccola utilitaria, che conclude la sua corsa fermandosi sull’aia in pietra davanti al casolare.

Sorridendo all’uomo in piedi che la saluta con un cenno della testa e guardando con curiosità il taxi, una splendida donna scende dalla macchina avviandosi velocemente verso la casa.

«Ciao amori miei. Cosa ci fa quel taxi davanti a casa?» esclama entrando nell’ampio salone d’ingresso.

«Aspetta noi», le risponde l’uomo; «sbrigati dai che dobbiamo partire».

«Cosa intendi dire con: aspetta noi? E noi chi?  E per quale ragione dobbiamo partire? E soprattutto, dov’è che dovremmo andare?».

«Sono troppe domande mamma» interviene la ragazza. «Guarda invece di sbrigarti e segui il babbo. Ho preparato io la tua valigia; è già sul taxi e perciò non vi resta che andare».

«Ma… avete deciso tutto voi due? E questa novità cosa vuol dire?» chiede perplessa la donna rivolta adesso a entrambi. «E i ragazzi? Chi pensa ai piccoli? Ma poi noi due dove dobbiamo andare? E perché io non ne so niente? E poi lo so bene che in mia assenza il vostro cane monta sul mio divano e lo sapete perfettamente che non voglio che lo faccia.» conclude rivolta adesso verso l’animale che nel frattempo, non appena aveva udito il rumore dell’auto, era lestamente sceso dal suo comodo rifugio e scodinzolando la guardava con aria innocente.

L’uomo allora l’abbraccia con tenerezza, e visibilmente divertito interviene per tentare di fermare quel mare di domande: «A parte che i ragazzi, come tu continui a ostinarti a chiamarli, sono ormai grandi e sanno cavarsela anche da soli, abbiamo deciso che li guarderà la sorella maggiore; non è vero Sara?» aggiunge poi rivolgendosi alla figlia.

«Certamente. Mamma, non devi preoccuparti. Ai miei fratellini, al cane e al tuo adorato divano rosso ci penso io; andate ora perché il taxi lo pagate anche se non viaggia».

«E va bene, avete vinto. Non sono per niente d’accordo ma cedo. Me lo vuoi dire adesso dove stiamo andando?».

«Ad Atene».

«Atene? E ci andiamo così? Su due piedi? Tu sei matto. Voi due siete matti!».

«Certo» risponde lui abbracciandola «sono pazzo di te» conclude facendo seguire all’abbraccio un bacio sulle labbra, incurante della figlia che li osserva divertita.

Gli è sempre piaciuto stringerla forte e baciarla come se fossero in una stazione ferroviaria; con il buio che cala lentamente, con frotte di viaggiatori frettolosi che incuranti di loro salgono sulle carrozze; con il rumore di porte sbattute, i saluti, la nebbia che piano avanza assieme al buio, il vapore del treno che sta per partire, e il lungo fischio del capotreno che a brevissimo porrà fine a tutto questo.

Ed esattamente come si addice a un vero film, ovviamente, in quell’immaginario addio, vede loro due che si salutano con un bacio. E quel loro bacio, altrettanto ovviamente, è dato oltre che con passione, quasi con disperazione, come se rappresentasse l’ultimo della loro vita.

E ogni volta che questo accade, il suo pensiero corre inevitabilmente a Ingrid Bergman e a Humphrey Bogart in “Casablanca”.

segue a breve la seconda parte

Pubblicato da Enrico Miniati

Fiorentino di nascita vivo però da circa 20 anni a Iano, un minuscolo paesino sulla collina pistoiese. Scrittore per passione ho pubblicato 6 racconti di cui trovate sul blog le relative pagine.

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